L’uomo e la sua maschera, inscindibili e inseparabili, sono i protagonisti del nuovo ciclo pittorico dell’artista veneziano Sergio Boldrin.
Quella proposta dall’artista è una riflessione pittorica di grande pathos che, come uno “schiaffo”, conduce ai primordi dell’essere, volgendosi ad analizzare la sua natura più intrinseca.
La ricerca è volta a porre l’accento sull’uomo più che sulla maschera, lasciando a quest’ultima però l’importante compito di svelare le caratteristiche più recondite dell’uomo, portando alla luce la sua vera identità.
Boldrin, pur attingendo dal suo bagaglio di conoscenze come maestro mascarer, per lui costante motivo di riflessione, come pittore è invece riuscito ad evadere da quello stuolo di maschere con cui si trova tutti i giorni a spartire le giornate, riuscendo ad indagare il significato di maschera al livello di quell’io più profondo con cui ogni essere umano fin dai tempi dei tempi si è confrontato.
In questa selezione di opere pittoriche la maschera, infatti, non è intesa nei termini teatrali della commedia dell’arte o in quelli carnevaleschi, ma in modo intimo e spirituale, ed è vista soprattutto nella sua veste innata come volto primordiale: nel momento stesso in cui l’uomo nasce gli viene infatti donata una maschera e sarà questa ad accompagnarlo per il resto della vita.
Proprio rifacendosi a questo concetto, Boldrin per realizzare le sue opere si è ispirato alle maschere africane. Già altri artisti in passato le avevano prese come punto di riferimento, in particolare vari esponenti di cubismo, fauvismo ed espressionismo nel periodo avanguardistico del XX secolo.
La visione di Boldrin però è tutta nuova e, in un approccio concettuale ed artistico per nulla scontato, invita a voltarsi indietro fino ai primordi della fusione tra uomo e maschera che, eretti a simboli, connotano le caratteristiche di ciascun mortale. In particolare, per sottolineare la dualità di una componente psicologica, Boldrin si rifà alla “Maschera dello Zaire” di realizzazione anonima, conservata al Museo Reale dell’Africa centrale, a cui già Picasso, pur con intenti diversi tesi ad un’attenzione geometrica, si era ispirato per realizzare “Les Damoiselles D’Avignon”.
Nelle opere ciascun essere alla cui nascita è affidata la prima maschera è rappresentato da Boldrin come una piccola figura bianca in forme embrionali ed evanescenti, simbolo di un’anima pura e autentica all’inizio di una nuova vita. Tale figura sorregge la grande maschera pronta per indossarla, con gestualità sempre diverse, dai caratteri leggiadri e svolazzanti, mai completamente definiti.
Diversi sono infatti i “nativi” rappresentati, ognuno destinato ed essere differente dagli altri nei caratteri fisiognomici, psicologici, caratteriali e comportamentali. Vi sono maschere in cui prevale un atteggiamento demoniaco, percepibile dai pigmenti caldi del rosso scarlatto e sanguigno, che con occhi infuocati sottolineano un animo tormentato e tormentatore. Altre, dai toni più cupi, malinconici e misteriosi, richiamano segni di sofferenza, lotta e guerra. Ci sono alcune poi in cui prevale l’idea di un animo più sereno dedito alla riflessione e all’analisi, mentre altre hanno un’inclinazione più sognante e riportano in un mondo danzante e filosofico. E ancora, maschere con i colori della terra, che appaiono più goliardiche, richiamano situazioni pastorali e bucoliche. Sono opere caratterizzate da una forte componente figurativa che va sapientemente a mescolarsi con la parte più astratta, che richiama il sogno e l’immaginazione. Lo spazio a volte diviene quasi teatrale, mentre in altre lo sfondo diventa più astratto e connotato psicologicamente. Se in alcune opere la maschera compare in modo più geometrico e marcato, in altre questa si fonde con l’essere a tal punto da prendere tratti più umani, come se fosse una seconda pelle. Infine, l’ultima opera, su sfondo violaceo quasi nero, riprende la prima maschera del percorso che, ridipinta di bianco, appare però quasi come un fantasma. L’opera rappresenta la fine della vita, il momento fin dove l’uomo porterà la sua maschera e in cui entrambi si annulleranno. Una riflessione che viene narrata in opere connotate da istintività gestuale e sapiente calibro dei toni, tra contrasti che vanno a rimarcare sensazioni e stati d’animo, in colori intensi così come è la vita.
Francesca Catalano